IL MORBO GIUSTIZIALISTA

COME I MALI DELLA GIUSTIZIA ITALIANA HANNO IMPEDITO LA NORMALIZZAZIONE DEL PAESE DOPO LA FINE DELLA GUERRA FREDDA

 

 

 

Da Mani pulite e dal crollo della Prima Repubblica giustizialismo e il suo contrario, antigiustizialismo, si sono imposti nel dibattito pubblico, nello scontro politico e nella polemica giornalistica, riaprendo antiche ferite e divisioni che si credevano ormai superate con la caduta del Muro di Berlino e la fine della guerra fredda.

Sotto le insegne dell’uno o dell’altro si sono ricreati stati d’animo, si sono riaccesi passioni e sentimenti forti e contrapposti, si sono formati correnti culturali, movimenti di opinione e persino partiti.

Giovanni Fasanella, giornalista d’inchiesta, e Giovanni Pellegrino, avvocato e politico di lungo corso, analizzano in profondità e senza sconti le cause, i sintomi, le manifestazioni conclamate del “morbo giustizialista”, con un occhio alle possibili soluzioni per liberare il Paese dai paradossi che lo paralizzano.

«Gira e rigira, è sempre il morbo giustizialista

Ancora una volta, a leggere i giornali, sembra che le sorti del governo dipendano da uno scontro sulla giustizia. A questo proposito è uscito da poco in libreria un piccolo saggio, che non sarebbe apparso meno attuale tre, cinque o quindici anni fa. Pubblicato da Marsilio, parla dei veri problemi della giustizia italiana, e cioè di politica, con un titolo piuttosto esplicito: “Il morbo giustizialista”. Titolo che potrebbe facilmente trarre in inganno, a causa di quell’anomalia italiana – naturalmente, essa stessa, al centro del saggio – che colloca garantisti a destra e giustizialisti a sinistra. Di sinistra sono infatti entrambi gli autori, l’ex senatore ds Giovanni Pellegrino e il giornalista Giovanni Fasanella.
Fasanella si occupa da anni di crimini di stato e misteri italiani, Pellegrino è stato presidente della commissione stragi. Il loro libro precedente, dedicato proprio a questi temi (“Segreto di Stato”, Einaudi), partiva dalle violente polemiche che avevano visto il lavoro della commissione attaccato dal Corriere della Sera come complottista e dai familiari delle vittime, al contrario, come arrendevole e giustificazionista. A Dio spiacenti e a’ nemici sui, entrambi gli autori dovrebbero aver fatto il callo questa condizione, in cui si ritrova invariabilmente chiunque in Italia voglia affrontare seriamente problemi seri, al contrario dei tanti che preferiscono affrontare comicamente problemi comici, e sono generalmente molto apprezzati (figli di papà in lotta per la meritocrazia, oligopolisti squattrinati in difesa del mercato, rampolli spiantati e vecchi burocrati che si battono per il rinnovamento, e così via).
La tesi del libro è presto detta: a paralizzare il sistema politico, ma anche lo sviluppo economico, è lo scontro tra giustizialisti e antigiustizialisti che va in scena da oltre quindici anni, e cioè dalla fine della Prima Repubblica. Uno scontro che nessuno ha davvero interesse a fermare: non Silvio Berlusconi, che ne trae forza, funzione e legittimazione (almeno agli occhi di una parte del paese); non i magistrati (idem); non la sinistra, che in verità ne trae solo debolezza, impossibilità di muoversi e una fonte di costante delegittimazione (agli occhi di una parte e dell’altra), e proprio per questo appare troppo debole per uscire dalla tenaglia, come dimostra anche l’esito infausto dei pochi, seri tentativi (ancorché, a tratti, velleitari) di cercare una soluzione razionale, a partire dalle lunghe e complicate vicende della Bicamerale D’Alema.
Le cronache di questi mesi e di questi ultimi giorni, la surreale ipocrisia e le tonnellate di retropensieri che ammorbano il dibattito pubblico, politico e giornalistico, sono la migliore dimostrazione della tesi. Lo scontro furioso che da oltre quindici anni si ripete ciclicamente, sempre uguale a se stesso, è lo specchio di un equilibrio perfetto, per quanto perverso. Equilibrio di forze a prospettiva catastrofica, dicevano i classici.
Per rompere un simile equilibrio occorrono innanzi tutto personalità capaci di dare scandalo nel proprio mondo, provando a cambiarne i riflessi condizionati, e l’eterna coazione a ripetere. L’ex senatore ds Pellegrino, per esempio, scrive a chiare lettere che sì, è evidente che Berlusconi è stato oggetto di una serie interminabile di iniziative giudiziarie dal giorno in cui ha deciso di entrare in politica, e non un minuto prima. Ma con altrettanta chiarezza scrive pure che quella stessa degenerazione del ruolo delle procure Berlusconi ha tentato di cavalcarla, alimentandola e strumentalizzandola in ogni modo, prima che gli si rivoltasse contro. E non solo per il ruolo non piccolo svolto da Mediaset nella campagna a sostegno di Mani Pulite, con il Tg4 di Emilio Fede in prima linea. Basta ricordare tutta la retorica della prima “discesa in campo”, culminata nell’offerta del ministero della Giustizia ad Antonio Di Pietro, quando era ancora pm. E scusate se è poco.
Dall’altra parte, la sinistra ha fatto lo stesso e di più, come è noto. Il risultato, tra l’altro, è la mancata riforma della giustizia. Misure di carcerazione preventiva e sequestro cautelare dei beni che qualunque singolo pm, da ogni parte di Italia, può assumere come niente fosse, senza di fatto risponderne a nessuno, che si trasformano in altrettante pene preventive, le cui prime vittime sono le amministrazioni locali, le imprese e lo sviluppo del paese (oltre che la certezza del diritto). Ma di questo nessuno sembra preoccuparsi, perché tutto è paralizzato, in questa meravigliosa Seconda Repubblica bipolare e maggioritaria, all’insegna della governabilità e della politica del fare. E adesso si avvicinano, non casualmente insieme, l’ennesima crisi di governo sulla giustizia e il ritiro del contestato ddl sulle intercettazioni. La maggioranza avrebbe potuto ripresentare l’assai più equilibrata legge Mastella, votata da tutto il governo Prodi, e incassare l’appoggio del Pd, che a sua volta avrebbe potuto rivendicare il cambiamento ottenuto, a cominciare dalla tutela dei poteri di indagine dei pm, distinguendosi al tempo stesso dalle correnti giustizialiste, inchiodandole alle loro contraddizioni. Lo avevamo proposto su questo giornale all’inizio della vicenda, prevedendo, ed era facile, come sarebbe andata a finire altrimenti. Conveniva a tutti, a destra e a sinistra, alla giustizia e al paese. Non si è fatto.
Sulle ragioni di questo insondabile mistero, il libro di Pellegrino e Fasanella offre tutte le risposte che servono, per chi ha voglia di litigare.»

(Francesco Cundari, il Foglio)

 

Coautore

Giovanni Pellegrino

Avvocato, è stato presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sulle stragi, della Giunta elezioni e immunità parlamentari e membro della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali. Senatore della Repubblica dal 1990 al 2001, ha ricoperto l’incarico di presidente della Provincia di Lecce dal 2004 al 2009.

Insieme a Giovanni Fasanella ha scritto: La guerra civile (Rizzoli, bur 2006) e Segreto di Stato. Verità e riconciliazione sugli anni di piombo (con Claudio Sestieri, Sperling & Kupfer 2008).