UNA LUNGA TRATTATIVA

“Ci potrebbero essere ancora tante cose gravi da scoprire. E la cosa peggiore, per un magistrato, è intuire e non poter dimostrare, perché la verità giudiziaria non coincide con quella storica.”
Pietro Grasso, febbraio 2013

Non basta la verità giudiziaria. Nel mare di accuse e veleni che continuano a inquinare i processi in corso sulla trattativa Stato-mafia, con particolare riferimento alle morti di Falcone e Borsellino, e che hanno addirittura coinvolto indirettamente il presidente della Repubblica, è necessario provare a spostare il nostro angolo visuale e fare un passo indietro. 

La storia ci viene in aiuto per capire che cosa sta succedendo. 

La partita è troppo grossa perché possa rimanere nelle aule di un tribunale. In gioco è la Repubblica italiana, il nostro Stato. Entrambi nati con l’appoggio fondamentale della mafia. L’autore spiega come e perché.

Dalla vittoriosa cavalcata di Garibaldi aiutato dai picciotti siciliani durante la spedizione del 1860 agli omicidi impuniti d’inizio secolo che contaminano il tessuto economico-finanziario, all’alleanza col fascismo che si limitò a contrastare la manovalanza armata. 

Poi il patto di sangue con gli angloamericani nel 1943 per indirizzare la pace, seguito dagli omicidi e dalle stragi del dopoguerra perché la sinistra non avesse il sopravvento al Sud, fino alle tragiche vicende oggetto degli attuali processi.

Difficile ammetterlo, però è così: la mafia è stata una risorsa decisiva per lo Stato italiano sin dai suoi albori unitari offrendo appoggio anche militare a chi vigilava sul controllo “democratico” del paese e talora a chi sosteneva veri e propri disegni eversivi.

La magistratura non ce la può fare da sola a spaccare questa crosta spessa di bugie, inganni e depistaggi pilotati. In nome della pace e di una ragione che di Stato ha ben poco. Una pace insanguinata. 

Per la difesa di interessi internazionali, per il controllo del Mediterraneo. Una partita a scacchi che ci vede di volta in volta spettatori fragili e passivi, collaboratori interessati o eroi coraggiosi, fino alla morte.

«(…) In questi giorni è uscito un bel libro intitolato Una lunga trattativa di Giovanni Fasanella, uno dei migliori e più equilibrati esperti di quell’area che va dai servizi segreti al malaffare politico. (…) Fasanella è riuscito in un’operazione difficilissima: far convivere la cronaca in presa diretta con lo sguardo panoramico in posizione arretrata costruendo una struttura a cui ha appeso quella serie immensa di fattacci, attentati, lettere minatorie, assassini, esplosioni, depistaggi, intercettazioni, ricatti che costituiscono il materiale edile con cui è costruita giorno per giorno la vita politica. Una sorta di storia d’Italia vista sotto il profilo della mafia, che riecheggia in ogni capitolo come i rintocchi di una campana a morto».

(Stefano Malatesta, Il Venerdì de La Repubblica)

«Giovanni Fasanella offre una ricostruzione delle relazioni tra istituzioni, politica e organizzazioni criminali intrecciandole con la storia d’Italia: “Per capire e combattere i fenomeni bisogna ricostruire i contesti in cui sono nati. (…) Giovanni Fasanella, non da storico ma con la consueta chiarezza dell’esperto, offre ai lettori una vasta documentazione arricchita da analisi e deduzioni. A lui va il merito di aver seminato ancora una volta il germe di una riflessione non più rinviabile»

(La Repubblica)

 

«La trattativa che cambiò la storia dell’Italia. (…) Giovanni Fasanella, cronista politico per Panorama, ha riscritto la storia d’Italia dall’Unità alla Seconda Repubblica nel suo ultimo libro Una lunga trattativa. (…) «Una verità che la magistratura non può accertare», scrive Fasanella, che mescola sapientemente il ruolo di servizi segreti deviati e noi, mafia e ‘Ndrangheta, massonerie e intelligence straniere, consegnando ai lettori l’immagine di un Paese a sovranità limitata sin dai suoi albori. Il periodo più interessante da rileggere è quello compreso tra le stragi del 1992-1993, «quando -scrive Fasanella-Cosa nostra, area grigia siciliana, logge massoniche deviate» erano «in subbuglio» come tutto «il doppiofondo segreto della Prima Repubblica» mentre gli Usa «soffiavano sul fuoco della “rivoluzione” giudiziaria perchè ritenevano necessario un ricambio delle classi dirigenti italiane. (…)»

(Felice Manti, Il Giornale)

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